Negli anni 1988-1991 una serie di iniziative di studio promosse da Franco Carmelo Greco, docente di Letteratura teatrale all’ Università Federico II di Napoli, con la collaborazione dei suoi allievi, si è trasformato in un formidabile progetto di lavoro sulla maschera di Pulcinella, che ha investito la città di Napoli in un crescendo di attività durate circa un biennio. Il sostegno economico (che fu anche di ideazione e organizzativo) dell’Azienda di Soggiorno Cura e Turismo di Napoli fu fondamentale per la realizzazione di questo volume intenso di iniziative, che poterono anche contare sulla collaborazione delle più importanti istituzioni campane, dalla Regione Campania al Comune di Napoli, alla sede napoletana dell’ Istituto francese Grenoble. Franco Camelo Greco riuscì a tessere una rete di relazioni europee, prevalentemente francesi, che fornirono preziosi contributi di idee e di partecipazione: Alain Le Bon, Maurizio Scaparro insieme al presidente dell’ Azienda di Soggiorno Cura e Turismo Castaldi furono i protagonisti dell’ impresa, che operò su una molteplicità di versanti: con rappresentazioni, convegni, mostre, conferenze. Furono gli anni del trionfo di Pulcinella, che, sia pure all’ interno di un pubblico borghese, per un verso portò a maturazione tutto quello che andava significando il “ritorno”, ormai acclarato, di Pulcinella, per un altro verso contribuì a imprimere a questo ritorno un’impronta di segno forte e colta, destinata a durare. E’ stato questo lavoro degli anni 1989-1991, che ha “riabilitato” la figura di Pulcinella agli occhi dell’Europa e degli stessi napoletani, privilegiando la sua presenza nel teatro colto e nella grande pittura, nella musica e nel balletto europei.
I grandi Convegni
Colloque Combien d’histoire pour Polichinelle!
Il 7 e 9 ottobre 1988 a Saintes, in Francia, è stata realizzata una rassegna di spettacoli di pupari e burattinai di tutto il mondo insieme a un Convegno internazionale di studiosi in occasione dell’inaugurazione della “Maison de Polichinelle” con la presenza del presidente François Mitterrand. Le attività si sono svolte nella splendida abbazia trecentesca da poco restaurata e diventata idealmente la casa dei Pulcinella e del teatro di figura di tutto il mondo. Il Convegno dal titolo Quante storie per Pulcinella/Combien d’histoires pour Polichinelle è stato organizzato con la partecipazione del Ministero della Pubblica Istruzione italiano, dalla Regione Campania, dall’Università degli Studi di Napoli e dall’Istitut Français, Université de Grenoble, di Napoli. Vi hanno relazionato F. C. Greco, D. Scafoglio, R. De Maio, F. Cruciani, L. M. Lombardi Satriani, O. Aslan, W. T. Reich, L. Allegri, P. De Santi, L. Olivato.
Gli atti del Convegno, pubblicati nello stesso anno, oltre ad illustrare con buone ricerche aspetti poco approfonditi della storia di Pulcinella (per esempio Pulcinella e la Chiesa, Pulcinella nel cinema, la marionetta nel teatro del Novecento, Pulcinella in Ejzenstein), le relazioni lasciano trasparire il significato dell’ operazione, che aspirava a sottrarre la maschera a un lazzaronismo di maniera, restituirgli serietà e profondità, legittimare la sua capacità di rappresentare una parte non trascurabile delle storie culturali dell’ Italia e della Francia: sotto questo aspetto l’ intervento di Mitterand nella parte conclusiva delle manifestazioni ha giocato un ruolo unico nella storia più recente di Pulcinella / Polichinelle.
Pulcinella tra immaginazione e rappresentazione
Il Convegno Pulcinella tra immaginazione e rappresentazione (i cui Atti furono poi pubblicati l’ anno successivo col titolo Una maschera tra gli specchi) fu tenuto a Napoli nel febbraio 1989 su iniziativa delle stesse istituzioni campane. L’obiettivo principale del Convegno aspirava ad essere “la riappropriazione collettiva, attraverso la promozione di una differente conoscenza, dell’immagine della maschera, strumento insostituibile di coscienza storica e di una reinventata comunicazione, nella quale il segno della città, della cultura, della lingua, dell’arte, della scena, potesse divenire il fulcro di un nuovo rapporto di Napoli con civiltà e paesi diversi”. Tra gli studiosi che hanno partecipato al Convegno troviamo: D. Scafoglio, L.M. Lombardi Satriani, L. Allegri, R. De Maio, M. Verdone, J. Joly, P. Maione, E. Massarese, U. Piscopo, F. Angelini, C. Viviani.
Manifestazioni per Pulcinella maschera del mondo
Dal 7 dicembre 1990 al 6 Gennaio 1991 si sono svolte numerose manifestazioni in cui Pulcinella è tornato per un mese ad abitare da vincitore la sua casa, Napoli. Un mese di incontri per e con la maschera: mostre di pitture e disegni celebri, rappresentazioni teatrali con Scaparro, Ranieri e Fo, spettacoli del teatro di figura con operatori provenienti da varie parti del mondo, laboratori della Commedia dell’Arte, spettacoli internazionali di teatro di strada, coreografie e balletti celebri, incontri letterari in libreria, canzoni di Eugenio Bennato, e di altri, proiezioni cinematografiche, laboratorio sulla costruzione della maschera di cuoio. Negli spazi di Villa Pignatelli, migliaia di visitatori hanno visto la mostra dedicata alla presenza di Pulcinella nell’arte europea di quattro secoli.
La città per più giorni è stata invasa da cultori del teatro delle maschere, studiosi e semplici curiosi, napoletani, italiani e stranieri, che hanno riempito i luoghi storici che ospitavano segmenti della manifestazione: il Teatro Meradante, il Teatro Politeama, Villa Pignatelli, il Teatro Nuovo, il Teatro Mediterraneo, l’ Accademia di Belle Arti, l’ Istituto Universitario Orientale, l’Istituto francese Grenoble, le librerie Colonnese, Guida, Umberto I, Largo Accademico, Port’Alba, Piazza Dante, Piazza del Gesù, Piazza San Domenico, Via San Gregorio Armeno, Largo del Maschio Angioino.
Finalmente Stravinskij. Il trionfo del balletto
Su suggerimento di Scaparro, si realizza una serie di spettacoli e incontri al teatro Mercadante, coordinati da Vittoria Ottolenghi, su Pulcinella e Strawinsky, una meravigliosa stagione: la stagione evocata è quel 1920, in cui il felice incontro campano di Massine, Picasso, Gide, Strawinsky e Diaghilev fece germogliare in questo gruppo geniale l’ idea di un balletto che attestasse quello che in esso aveva suscitato la loro esperienza napoletana. Nato in quell’ anno, il balletto, dopo aver girato per il mondo, era arrivato a Napoli dopo 62 anni nella versione di Ugo dell’ Ara, e solo nel 1989 la versione originale per merito del figlio di Massine era approdata al San Carlo.
Amedeo Amodio con l’ Aterballet presenta la sua coreografia di Stravinskij con costumi di Emanuele Luzzati che richiamano il Seicento di Callot, con il francese Guy Poggioli nel ruolo di Pulcinella, mentre Virgilio Seni propone una versione avanguardistica per il Balletto di Toscana: “danze astratte, senza connotazioni napoletane e tuttavia profondamente intrise dell’ umanità calda e beffarda di Napoli”. E ancora con i Pulcinelli di Strawinskij si rappresentano scene della versione di Hans Spoerli, con il balletto dell’Opera di Vienna. Per l’occasione Rudolf Nurejev si esibisce nel balletto in un assolo struggente di Petruska, “cugino” di Pulcinella, risalente al 1911.
I riflessi non solo locali e nazionali dell’iniziativa non sono mancati, come attesta una importante esperta come Vittoria Ottolenghi: la Maschera napoletana “ha lentamente conquistato tutto il nostro paese e il mondo. Il ‘gala’ conclusivo della manifestazione ha dimostrato che Pulcinella non è più ormai un meraviglioso atto in vernacolo, proprio della nostra città, dei suoi vicoli, delle sue piazze. Pulcinella è anche dentro di noi tutti, uomini e donne, napoletani e non, italiani e non”.
Entra in campo il teatro degli attori
Il teatro di attore avrebbe dovuto essere il vero protagonista in questo mare di Pulcinelli e di pulcinellate che riempivano Napoli in quei mesi. Si iniziò con le esperienze che avevano già ricevuto un consenso molto vasto, e apparivano l’ offerta più ghiotta, come il Pulcinella di Santanelli (pubblicizzato come di Rossellini-Santanelli) interpretato da Massimo Ranieri con la regia di Scaparro, come omaggio a Ettore Giannini di Carosello napoletano e alcune esibizioni di Dario Fo. Il 18 dicembre 1990 è la volta di alcuni dei maggiori autori napoletani contemporanei, come Enzo Moscato e Tonino Taiuti, interpreti essi stessi dei loro testi (rispettivamente, Fuga per comiche lingue tragiche a caso, e I am black), mentre Nello Mascia recita il monologo di Vittorio Lucariello, Monna Zeza, ovvero Pulcinella in fiore. I tre drammaturghi ripropongono un Pulcinella radicalmente rinnovato, sperimentando sulla sua figura tradizionale le esperienze formali e sostanziali maturate nella loro complessa ricerca teatrale: Lucariello spiega che nel suo monologo ha costruito “un connubio tra la Monna Lisa leonardesca e la Zeza, che sottende l’ idea di creare l’ ambiguità della storia, dell’ esistere, dell’ idea di immortalità”; Moscato recita otto frammenti, in parte sugli aspetti della maschera, in parte “costruiti con la tecnica del lirico-drammaturgico” altre volte da lui sperimentata; infine Tonino Taiuti in Song nero, con la regia di Carpentieri, ripresenta un Pulcinella sospeso tra l’ universo arcaico e la inquietante modernità di Napoli: nano da lancio in un circo, borseggiatore, cuoco su una barca, compie una discesa agli inferi ed è restituito, vittorioso sulla morte, alla sua città pacificata; Michele Monetta ha presentato il suo Pulcinella in libertà, anch’ esso ricco di elementi innovativi.
Fuori delle tradizioni e scuole napoletane, Antonio Fava ha illustrato la sua teoria della Commedia dell’ Arte, di cui è uno dei maggiori rappresentanti odierni.
Teatro di figura e di strada da tutto il mondo
Anche se non era una novità assoluta, il teatro di strada e di animazione che è stato a popolare le strade e le piazze veniva da ogni parte del mondo: Francia, Germania, Inghilterra, Cecoslovacchia, Grecia, Iran, Portogallo, Olanda, Turchia, URSS, Sudafrica ecc.
In mezzo a tanta diversità disorientante e al tempo stesso stimolante accanto ai guarattellari napoletani ha brillato L’ altro Don Giovanni di Alain Le Bon, che è forse la creazione più avvincente del teatro di figura contemporaneo. Il suo Pulcinella ripropone un Don Giovanni altro, perché si oppone al dignitoso libertino della tradizione colta come un personaggio rabelaisiano, restituito a una vita reale di pulsioni forti e ferite cocenti. Non potevano essere ignorati, in una iniziativa totalizzante come questa, i bambini, veri grandi “patiti” di Pulcinella. Lele Luzzati si incontra con loro sullo scorcio della stagione e disegna per loro.
Il contributo di Dario Fo
Quasi per suggerire una comparazione illuminante, e forse nella forma di una antifona al trionfo del Pulcinella del balletto, Dario Fo ha interpretato Arlecchino e Pulcinella seducendo il pubblico del teatro Mercadante. Ma la sua recitazione ha avuto anche una coda polemica (che nella sua radicalità ha contribuito ad equilibrare l’ andamento di quasi tre anni di manifestazioni pulcinellesche), quando ha dichiarato che a Pulcinella “si fa un torto a rappresentarlo castrato, svuotato, ballerino idiota come capita nelle versioni di oggi. Pulcinella è invece sgarbato, simbolo della controeleganza provocatoria, addirittura oscena, proprio come Arlecchino” (E. Corsi).
Notoriamente Fo già nel 1969 aveva adottato per Mistero buffo il grammelot (che è, per definizione dello stesso Dario Fo, una lingua teatrale, composta da suoni senza senso simili a parole o discorsi reali), che si ritrova anche nelle brevi rappresentazioni Pulcinella innamorato e Pulcinella con l’ accento inglese.
Pulcinella filosofo
Una notevole influenza esercitò sulle attività e sulle teorie – almeno su quelle, di fatto dominanti, di Carmelo Greco e della sua èquipe – di questo ritorno in grande stile della maschera il pensiero di Romeo De Maio, autorevole professore ordinario di Storia del Rinascimento all’ Università Federico II di Napoli, collaboratore e per certi versi ispiratore dello stesso Greco, principale organizzatore delle attività di tutto il triennio. De Maio nel 1989 ha condensato le sue ricerche e riflessioni, frutto di un considerevole impegno di storico della cultura e dell’ arte, in un brillante volume sulla maschera napoletana, Pulcinella. Il filosofo che fu chiamato pazzo, e quasi contemporaneamente le ha riassunto in articoli di giornali, che hanno contribuito a divulgarle, in modo da costituire una sorta di consapevolezza critica e di legittimazione teorica dei saperi elaborati e degli entusiasmi suscitati in oltre due anni di intense e varie attività pulcinellesche.
Dando per scontato un po’ frettolosamente che “l’ immagine di Pulcinella proletario napoletano è caduta”, De Maio concentra il suo interesse su quello che della maschera è, a suo giudizio, rimasto in piedi, ossia la sua presenza all’ interno della cultura intellettuale (letteraria, storica, filosofica) e artistica europea dal Seicento ai nostri giorni: ossia quello che Pulcinella ha suggerito agli intellettuali e artisti europei, o quello che essi hanno liberamente pensato di Pulcinella. E si tratta di nomi importanti, come Molière, Voltaire, Diderot, Rousseau, Fielding, Lesage, Swift, Goethe, Reich, Dieterich, Croce, Bragaglia, Nodier, Dickens ecc., da un lato, e dall’ altro Magnasco, i Tiepolo, Hogarth, Goya, Rouault, Severini, Picasso, e tanti altri: tutti hanno colloquiato per gioco o con serietà con Pulcinella, che hanno fatto spesso oggetto di condivisione empatica o di identificazione ironica o appassionata, e riproposto con frequenza come ricettacolo di una filosofia della vita dotata di complessità e profondità, in linea col meglio del pensiero critico, libertario e antidogmatico europeo.
De Maio si muove in un mare di testi verbali e visivi, per la prima volta riccamente collezionati e decodificati con attenzione e libertà, costruendo una struttura di pensiero o comunque un aggregato di teorie molto inconsueto, tramato di voli pindarici e di analogie tematiche col sostegno di bibliografie ampie e dettagliatissime. Emergono così lucidamente i cardini di quattro secoli di pensiero pulcinellesco: “Pulcinella è un’ idea che Napoli preservò e trasmise al mondo: non un costume, ma un sofista: un sofista che tiene all’ ironia, alla scienza del probabile, che rifiuta la legge senza principii, la dottrina senza pensieri, la cultura senza morale”. Di questa idea De Maio ha voluto indicare contenuti e valori: “Pulcinella è l’ oppositore supremo della cultura della costrizione”, che “ha tenuto desta la coscienza dell’ uomo contro le manifestazioni del potere”; grazie al suo travestitismo, transitando da un ruolo all’ altro, “egli conosce l’ uomo in tutti i recessi della sua condizione, ne ha intuito l’ essenza”; “il suo antagonista è il ciarlatano, nelle vesti sia del ciurmatore che degli emblemi sociali, che sono il notaio, il dottore, il maestro e il sacerdote; egli sottopone alla parodia gli eroi, “perché non accetta l’ idea stessa di eroe, non ha bisogno di estendere nella trascendenza i confini dell’ umano” ed è “contro la storia eroica”, perché “è sua meta costante liberare l’ uomo dagli eroi, ossia dai modelli”; si è invece battuto “contro il primato dell’ onore sull’ amore, e per la parità femminile”; “Aristofane e Pulcinella non chiedono la rivoluzione, ma la riflessione”. Secondo lo studioso, al di là della forma comica, e della propensione, spesso eccessiva, alla risata e allo sberleffo, quattro secoli di pulcinellate sono state l’ espressione di una forma di sensibilità e di pensiero dotati di coerenza e costanza, che hanno attraversato la mente di molti intellettuali e artisti europei e hanno parlato attraverso i loro discorsi e i loro dipinti. Definitivamente sottratto al patrimonio dei popolani e dei lazzari della Sanità, del Mandracchio e di Piazza Mercato, il Pulcinella di De Maio rifà il suo viaggio per l’ Europa, questa volta accompagnato da Voltaire, che in lui avrebbe riscoperto il suo maestro e il suo ispiratore.
La mostra Pulcinella – maschera del mondo
Nelle intenzioni degli ideatori tra le iniziative che avrebbero dovuto porre Pulcinella e Napoli al centro dell’ attenzione nazionale e internazionale doveva occupare un posto di rilievo una grande mostra sulla presenza della maschera nella cultura europea, per questa ragione intitolata Pulcinella maschera del mondo. La mostra, inaugurata, per la durata di un mese, nella Villa Pignatelli di Napoli il 6 novembre 1990, era promossa dall’ Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo, dalla Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici e dall’ Università di Napoli, in collaborazione con la Maison de Polichinelle francese.
La parte del leone è toccata alla presenza della maschera napoletana nell’ arte dal Seicento ai nostri giorni, per una scelta di politica culturale che aspirava a spostare l’ attenzione sul suo significato nella più alta cultura intellettuale ed artistica, lasciando ai margini le altre manifestazioni considerate “minori”: il popolare, la festa, il rito, sono presenti esclusivamente nella forma che ad essi ha conferito l’ arte europea. Questo cosmopolitismo viene programmaticamente e intenzionalmente enfatizzato dall’ ideologia che in parte lo genera prima essere dai fatti generata. “Pulcinella – secondo Giuseppe Castaldo, commissario dell’ Azienda del turismo – è soprattutto nesso tra le culture europee, nelle quali è presente, e la cultura e la civiltà di Napoli” e “non esiste un simbolo più diffuso di questa città che sia stato assunto nel tempo come più rappresentativo, che valga la pena riproporre”. Questo Pulcinella europeo è ribattezzato come universale per l’ universalità intrinseca al suo essere europeo, e al tempo stesso una speciale enfasi è stata posta nelle rappresentazioni novecentesche delle Avanguardie, presentate come la grande stagione della sprovincializzazione definitiva della maschera.
Nel lungo periodo delle manifestazioni nelle sale del teatro Mercadante sono state allestite mostre più modeste: I segreti di Eduardo e di Raffaele Viviani esponeva i cimeli pulcinelleschi conservati dai due scrittori.
Pulcinella riscritto
Il libro Pulcinella. Il mito e la storia (di Domenico Scafoglio e di Luigi M. Lombardi Satriani) non era estraneo al clima del revival della grande stagione 1998-1991, ma nasceva, nel 1992, dalla convinzione che il significato di Pulcinella era soprattutto nel vasto patrimonio di esperienze, simboli, codici, riti, forme di vita e di pensiero depositati in una sterminata produzione di teatro comico popolare, semipopolare e intellettuale, ai nostri giorni scarsamente conosciuta, di teatro comico e in gran parte del folklore campano, soprattutto carnevalesco, oltre che nelle rappresentazioni artistiche e nelle riflessioni filosofiche, e che occorreva entrare in questo universo, antico di quattro secoli, portandovi dentro, pulsante e vibrante, il senso, ancora presente e vivo, della vita napoletana. Armati della giusta misura di empatia, che trasforma la conoscenza in forza evocativa, gli autori hanno voluto così restituire Pulcinella nella sua totalità e universalità, nello spirito di un tempo in cui si guardava, al di là delle barriere etniche, all’ immensità delle culture che plasmano il mondo.
L’ opera è anche figlia del suo tempo, e si colloca, all’ interno di un quadro di esperienze e competenze interdisciplinari, sul versante della ricerca etnologica, storico-antropologica e della storia delle religioni, in cui sono emersi negli ultimi decenni importanti contributi conoscitivi, che aspirano a porre in un’ ottica nuova il problema della natura e della funzione delle figure e manifestazioni comiche nelle diverse culture, e riconsiderare il posto del comico nella teoria generale della cultura e della società. Intanto, dove l’ antropologia trova codici culturali, la psicoanalisi scopre pulsioni, e la comparazione interculturale adottata da psicoanalisti e mitografi fornisce le sostruzioni psicologiche di una archetipologia delle figure comiche, riportando Pulcinella nella storia dagli inferi dell’ inconscio.
L’ idea di questa opera “totale” su Pulcinella è nata dalle suggestioni di questo quadro di visioni, esperienze e competenze multidisciplinari. La trama, che il libro fa emergere e che compatta un mare di testi in gran parte dissepolti da un mondo antico di secoli, riesce a dare finalmente alla maschera uno statuto, la sua carta d’ identità, che lo presenta come l’ eroe comico popolare, collocandolo alle soglie di una non impossibile teoria del comico in chiave antropologica. Questo viaggio attraverso quattro secoli ha meritato una full immersion, lunga e tenace, che ha surrogato la volontà di conoscenza con una promessa di dilettazione giocosa e vitalistica.
La vastità del materiale è stato per gli autori del libro un deterrente per non operare generalizzazioni scegliendo campioni o episodi sintomatici: fino a che punto il campione può infatti sostituire la totalità, e il sintomo può prendere il posto dell’ essenza, quando si è in presenza di una storia plurima e multiculturale, come quella di Pulcinella, che in quattrocento anni ha conosciuto differenziazioni locali, e si è dispiegata in diverse aree geografiche e culturali attraverso una molteplicità di generi e di tradizioni? Nel Seicento – è solo un esempio – la maschera appare particolarmente sgregolata e trasgressiva, in sintonia con lo spirito barocco e i liberi costumi dei comici ambulanti; nell’ epoca romantica l’ affermarsi della poetica del dolore determina la nascita del mito del buffone infelice, che incoraggia la tendenziale trasformazione della maschera nella proiezione autobiografica dell’ autore. Le trasformazioni della tipologia comica sono studiate anche in relazione alla storia e alla cultura dei gruppi dei teatranti (che è spesso storia di famiglie e di affiliazioni), e alle modalità di trasmissione del loro specifico sapere teatrale, connaturato a particolari stili e scelte di vita: un sapere che riciclava materiali di diversa provenienza (dai riti, miti, affabulazioni delle tradizioni etniche e della letteratura e dal teatro colto), ma che al tempo stesso si costituiva come una forma di vita e di cultura, quella della Commedia dell’ Arte, dotata di autonomia nei confronti sia della tradizione popolare che della cultura intellettuale.
La maschera si è irradiata in gran parte dell’ Italia meridionale e in alcune aree del Nord Italia per opera dei comici ambulanti della Commedia dell’ Arte e del teatro di figura, dando vita a tradizioni locali, la maggiore delle quali risulta quella romana nei secoli XVII-XVIII. Tra queste tradizioni esistono notevoli differenze, per effetto dell’ adattamento alle caratteristiche culturali delle diverse regioni. Per esempio, la scarsa fortuna della compagnia di Calcese a Roma fu dovuta al fatto che il suo Pulcinella eccessivamente “arguto” contraddiceva lo stereotipo etnico che i romani si erano fatti del napoletano. Il libro è un percorso verso il modello dell’ eroe comico attraverso la diversità. La costruzione del modello consente il vantaggio di ritornare sulle storie diverse con nuova consapevolezza, ma anche di avviare un discorso transculturale sul tipo particolare di comicità, che produce l’ eroe popolare.
L’ avere fatto di Pulcinella un cittadino del mondo nulla toglie allo spessore etnico della maschera, che ripete felicemente alcuni elementi di segno forte della cultura napoletana: il colpo d’ occhio libero e sicuro, che affascinò Goethe; l’ anarchismo istintivo, che diventa libertà del gesto e della parola, sofisma, gioco verbale, insidia e trappola; il barocco popolaresco, fastoso e sanguigno; il patetismo, perennemente sospeso tra l’ autenticità dolente e l’ istrionismo; l’ ipocondria, la malinconia napoletana sempre pronta a rovesciarsi nella sua controparte ironica; la fascinazione del nuovo e del diverso, governata dalla parodia; la carnalità ossessiva e un po’ ambigua; la familiarità col mistero e col sacro; il rapporto d’ intimità col potere, diviso tra il rispetto e la protesta, la sottomissione e la rivolta; la logorrea astratta e il suo becero controcanto, il doppio senso scatologico e osceno; la coralità intensa, contagiosa e avvolgente, contrastata dalla reciprocità negativa e violenta.
Al tempo stesso Pulcinella ripete in forma originale le ambivalenze e le contraddizioni delle figura similari che riconosciamo nel modello del trickster, l’ eroe civilizzatore, che compie azioni di grande utilità per gli uomini e fornisce loro i mezzi per migliorare la vita, ma è, al tempo stesso, sovvertitore delle norme sociali e incarnazione del disordine e dell’ eccesso. Pulcinella è il messaggero della famiglia e della comunità, il tramite prezioso dell’ interno con l’ esterno e simbolo dello scambio culturale; può essere contro le innovazioni, quando esse minacciano di mettere in crisi la vita delle comunità, e può a sua volta promuoverle, quando i sistemi culturali si vanno sclerotizzando; non colpisce nessuna delle classi, ma soltanto gli anelli della catena sociale resi fragili e vulnerabili dalla inadeguatezza e dalla arroganza. La sua vita si articola nel segno dell’ accoglienza, ma si dispiega altresì lungo il margine della violenza, della paura, del pericolo, della provocazione e della derisione. La logica profonda di tutto questo è implicita nella regola sapienziale che “solo un diavolo caccia un altro diavolo”: gli eroi comici possono lottare contro i prepotenti, i mostri, i demoni, la strega e la Morte, perché entrambi vengono dagli stessi territori, che sono quelli della trasgressione. Grazie ad essa gli eroi acquisiscono il potere che rende possibile la realizzazione di opere buone a vantaggio della comunità. Pulcinella, nato a Napoli e simbolo della città, viene fatto venire dall’esterno (da Acerra), perché incarna non solo l’ identità, ma anche l’alterità interna alla cultura napoletana, che diventa rappresentabile proprio in quanto viene immaginata come alterità esterna. Tutto questo sarebbe incomprensibile se non implicasse l’ esistenza di una delega collettiva al personaggio comico a trasgredire, eccedere, peccare, sbagliare, colpire in nome di tutti: nel teatro comico noi possiamo vivere per interposta persona tutto ciò che la follia della maschera ci propone, col vantaggio di poter dire, alla fine, che è stato Pulcinella. Ma non è stato Pulcinella, perché siamo stati noi.
In questa logica il libro suggerisce di comprendere quelle che sono sembrate le inconciliabili contraddizioni di Pulcinella, il suo essere virile e femmineo, coraggioso e pavido, astuto e stolido, cortese e violento, come gli eroi comici popolari di tutti i popoli e di tutti i tempi. Essi si muovono nella dimensione della dismisura, lungo il margine dell’ eccesso e, complementarmente, lungo quello della mancanza: nell’ uno si compie la trasgressione, nell’ altro la si punisce. Le bastonate che Pulcinella prende sono il prezzo di quelle che dà, la violenza che subisce cancella la violenza che infligge agli altri, la sua virilità viene punita nella sua femminizzazione. Il trickster è peccatore per tutti, ma si ritrova a pagare da solo: una solitudine che ha ispirato a un predicatore del Settecento l’ azzardo scandaloso di paragonare Pulcinella a Cristo. Con la punizione del trasgressore si ristabilisce l’ equilibrio necessario alla vita di tutti i giorni, dopo lo scompiglio suscitato dall’ irruzione dell’ illecito e della violenza, di cui si sostanzia l’ esperienza della trasgressione.