Pulcinella nella percezione
intellettuale del comico
Sulla importanza e i limiti della percezione intellettuale del comico (o, per lo
meno, della forma specifi ca di comicità oggetto di studio di questo convegno,
che ha come protagonista l’eroe comico popolare, il trickster, nelle sue versioni
mitologiche, nelle narrazioni letterarie e nelle pratiche teatrali presenti nelle varie
culture antiche, moderne e contemporanee) ho rifl ettuto a lungo con Domenico
Scafoglio nelle varie occasioni in cui ci siamo impegnati in approfondimenti sull’i-
potesi di una antropologia del comico1
.
Da emblema napoletano a maschera planetaria
Lo studio di Pulcinella diventò un tema dell’alta cultura europea nel secolo IX,
soprattutto per l’attenzione che il tedesco Dieterich gli dedicò in una pregevole
opera, di cui si parla, per la prima volta in maniera adeguatamente analitica, in
1 Ridotti all’essenza, questi colloqui furono condensati in vari saggi, uno dei quali, “Kerényi, Jung e il
briccone divino”, rispecchiava interamente il mio punto di vista. Il saggio è stato inserito nel volume
di Scafoglio, D. Antropologia e letteratura, vol. II, Salerno, Gentile, pp. 75-80, come frutto della col-
laborazione con Simona De Luna, essendo «soprattutto frutto di sue rifl essioni» (ivi, p. 5). A distanza
di circa dodici anni ne ripropongo in parte lo spirito, che mi sembra trovare sintonie molto forti con
quello che emerge da questo convegno internazionale, il primo che gli antropologi italiani e stranieri
abbiano dedicato insieme al tema del trickster nelle società tradizionali e alle sue reviviscenze e meta-
morfosi nelle società complesse. Degli scritti di Scafoglio dedicati a Pulcinella ricordiamo soprattutto
Pulcinella. Il mito e la storia, Milano, Leonardo, 1992 (con parti in collaborazione con L. Lombardi
Satriani); “Pulcinella. Per una antropologia del comico” in Anthropology and Literature, I., Th e Uni-
versity of North Caroline, vol. 15, 1997, pp. 65-84; Pulcinella, Roma, Newton Compton, 1997.
436
Postfazione
questo congresso2
. Prima di lui la maschera era, nella considerazione dei dotti
europei, poco più che un fenomeno di folklore locale, pur nella sua riconosciuta
vitalità, che gli aveva consentito di sopravvivere al tramonto delle maschere che nel
secolo XVIII si registra in quasi tutti i teatri europei. Lo studioso tedesco, in una
dotta ricerca di ascendenze e analogie, aveva dilatato l’analisi della maschera nella
direzione del mondo classico, da cui si faceva discendere la sua nobiltà e lo stesso
diritto di assurgere a oggetto di studio approfondito. Queste indagini presuppone-
vano l’idea che nel folklore si ritrovassero sopravvivenze del mondo antico, e che
quindi esistesse una continuità tra il Pulcinella dell’età moderna e alcune fi gure del
teatro comico classico. Idea sostanzialmente erronea, dal momento che nessuno
riuscì a trovane qualche testimonianza che attestasse la permanenza della maschera
di Pulcinella nel quasi millennio che la separa dal teatro antico3
.
Un secondo fi lone di studio che ebbe molta fortuna in area campana risulta
ispirato dall’idea che Pulcinella fosse la maschera del napoletano, e che come tale
fosse degno di interesse per la conoscenza della vita campana e del carattere na-
zionale napoletano. Questa interpretazione era in sintonia con una caratteristica
fondamentale del teatro comico, dal momento che le maschere di questo teatro
erano maschere etniche, che impersonavano il bene e il male delle realtà culturali
delle loro regioni. Le maschere, in quanto emblemi cittadini o regionali, erano
oggetto di una identifi cazione identitaria, che a Napoli diventò più forte che al-
trove, determinando reazioni di rigetto in quanti rifi utavano di riconoscersi negli
eccessi comportamentali e linguistici della maschera. Pulcinella, così, divise in
due la città, soprattutto negli anni a cavallo della metà del secolo XVIII, quando
il Meridione divenne una nazione e si generò, nella sua capitale, il bisogno di
riscrivere i simboli cittadini in chiave positiva, per adeguarli all’altezza del nuovo
ruolo nazionale4
.
In realtà Pulcinella era assai più dell’incarnazione della napoletanità negativa
e/o positiva, e comunque le sue ambivalenze erano comuni a tutte le fi gure comi-
che trasgressive delle culture planetarie, diventate simboli etnici senza provocare le
lacerazioni che segnarono la cultura napoletana. Un antidoto a questa percezione
della maschera sarebbe potuto venire dalla sua provincializzazione, attraverso la ri-
levazione critica della sua presenza in Europa, soprattutto in Francia e in Inghilter-
ra. Le informazioni sul Polichinelle francese e sul Punch inglese non mancarono,
ma non sortirono questo risultato5
. Con maggiore ritardo furono rilevate presenze
2 Dieterich, A. Pulcinella. Pompejanische Wanfbilder und rōomische Satyrspiele, Leipzig, Teubner, 1897.
3 Per questi problemi rinviamo a Scafoglio, D.; Lombardi Satriani, L., op. cit., pp. 54-69.
4 Anche per questi problemi rinviamo a Scafoglio, D. Pulcinella. Il mito e la storia, cit., pp. 76-95.
5 Cfr. Scafoglio, D. “Pulcinella/Polichinelle. Méthodologie et perspective de recherche” in Cahiers
Robinson, n. 6, 1999, pp. 7-18.
437
Pulcinella nella percezione intellettuale del comico
e tracce di fi gure simili a Pulcinella in varie parti del Mediterraneo, ma non si andò
oltre la percezione di somiglianze e affi nità generali.
Dobbiamo riconoscere alla ricerca antropologica e alla psicoanalisi il merito
di avere sottratto la maschera agli angusti confi ni del folklore locale e della storia
patria, cui peraltro anche per noi essa rimane profondamente connessa. Queste
ricerche costituiscono il precedente immediato dei lavori di questo convegno, che
aspira a inscrivere la maschera in una storia più grande, tendenzialmente planeta-
ria, senza peraltro privarla della sua caratteristica etnica originaria, che ancora fa di
essa l’incarnazione dello spirito di Napoli.
Jones e i feticci fallici
Se l’antropologia, con l’allargamento del quadro comparativo, ha consentito di
ritornare su di essa con una nuova consapevolezza e di rileggerla anche alla luce
di esperienze analoghe, la psicoanalisi ha avviato l’approfondimento del suo sim-
bolismo con gli strumenti della psicologia del profondo, facendo emergere per la
prima volta signifi cati e funzioni prima ignorati.
Pulcinella è stato il più esteso e impegnativo esempio che Ernest Jones, uno
dei più brillanti allievi di Freud, ha addotto in una spiegazione del simbolismo,
destinata a rimanere fondamentale, circa mezzo secolo dopo, per lo stesso Lacan.
Siamo nel 1916, quando Jones presenta alla British Psychological Society il suo
articolo su questo tema, poi pubblicato nel nono volume del British Journal of
Psychology. Era poco meno di una sfi da, accompagnata dalla consapevolezza che
«nel lavoro analitico, l’interpretazione dei simboli determina la “resistenza” più
importante» e che «il simbolismo costituisce il centro di maggiore opposizione alla
psicoanalisi in generale». Nel caso specifi co, la «reazione di sorpresa, d’incredulità
e di ripugnanza» poteva essere accentuata dal fatto che Pulcinella viene identifi cato
dall’analista, senza mezzi termini, come “simbolo fallico”6
. Come Freud, Jones
lavora su fonti mitologiche e letterarie, alla ricerca di analogie, che confermano e
raff orzano la sua analisi, senza aspirare a costruire astratte archetipologie: l’organo
sessuale maschile, secondo il processo di “decomposizione”, individuato e descrit-
to dai mitologi, «si trova personifi cato e incarnato in un personaggio indipenden-
te», che di solito ha «l’aspetto di un manichino comico, di uno “strano piccolo
uomo”», molto pulcinellesco7
. È una rappresentazione molto diff usa, soprattutto
tra le donne, alla luce della quale si spiega l’origine della quasi totalità dei nani,
6 Jones, E. “La teoria del simbolismo” in La psicologia di Freud, Roma, Newton Compton, 1973, p. 118.
7 Ibidem.
438
Postfazione
degli gnomi, dei folletti presenti nel folklore e nelle tradizioni orali8
. Jones indivi-
dua – con l’aiuto di scrittori che hanno rappresentato Pulcinella – anche le carat-
teristiche che segnano quello che nella sua ottica potremmo defi nire il “carattere
fallico”, inscritto nella fi siognomica di queste fi gure:
La loro caratteristica principale è quella di rappresentare caricature deformate
e imbruttite dell’uomo: sono esseri maliziosi e cattivi (anche se a volte amiche-
volmente disposti e pronti a rendere un servizio sotto alcune condizioni), capaci
di compiere imprese meravigliose e magiche, e che riescono sempre a cavarsela
malgrado gli ostacoli evidenti che essi incontrano sul loro cammino […]. I suoi
caratteri fi sici si accordano perfettamente con questa interpretazione: naso lungo e
adunco, mento sporgente, schiena gobbuta, ventre prominente, berretto a punta9
.
La natura fallica di Pulcinella si legge anche nelle sue denominazioni e nella
loro storia: nell’importante paragrafo sui rapporti linguistici, Jones prepara l’in-
terpretazione che sarà ripresa e riscritta da Lacan: «nel simbolismo l’inconscio
stabilisce paragoni tra due idee che il nostro spirito cosciente non penserebbe mai
a giustapporre. Ora, lo studio dell’etimologia, e soprattutto della semantica, rivela
un fatto interessante: anche se la parola che indica il simbolo può non indicare
contemporaneamente l’idea simboleggiata, la sua storia si ricollega pur sempre a
quest’ ultima in diversi modi»:
La parola “Punchinello” è una “contaminazione” inglese della parola napoletana
Po(l)ecenella (Pulcinella in italiano moderno), anch’essa diminuitiva di Pollecena,
giovane tacchino (la parola Poussin francese corrisponde all’italiano moderno pul-
cino, che ha per diminuitivo Pulcinello); proprio come il gallo domestico, il tac-
chino è un simbolo fallico riconosciuto sia dal punto di vista della rappresentazio-
ne che da quello linguistico. La radice latina è pullus, parola che serve a indicare in
generale i cuccioli di un animale. Per ragioni evidenti, il fallo è spesso identifi cato
all’idea di un bambino maschio, di un fanciullo o di un piccolo uomo. Si pensa
che la ragione per cui è utilizzata la parola Polecenella per la marionetta derivi
dalla somiglianza tra il suo naso e il becco adunco dell’uccello. Non bisogna,
tuttavia, dimenticare che il naso e il becco sono simboli fallici correnti10.
Jones sembra inoltre fare un passo importante verso la psicologia sociale e la
storia, quando individua nel comportamento dei personaggi comici tipologica-
8 Ivi, p. 119.
9 Ivi, pp. 118-119.
10 Ivi, p. 124.
439
Pulcinella nella percezione intellettuale del comico
mente pulcinelleschi «leggere tracce del signifi cato originariamente rivoluzionario
del simbolo fallico matriarcale»: questo simbolismo ha connotazioni diverse dal
simbolismo fallico maschile (centrato sull’aquila, il toro, ecc.) – che rappresenta
«la potenza e i diritti del padre», laddove quello materno comprende «i simboli
rappresentanti il fi glio con tendenze rivoluzionarie» come il diavolo, il gallo, il
serpente, che sono coperti da tabù e proibiti, insieme a simboli di natura diversa,
come la scimmia e l’asino, che sono oggetto di riso e perfi no di dileggio11.
Al “fi glio ribelle” sia i despoti che le società democratiche consentono, nella
veste di comico (buff one, menestrello, teatrante, ecc.), il privilegio del libero uso
di violare la norma linguistica con iconoclastie e bestemmie, per svolgere l’eserci-
zio della critica sociale. Servendosi di alcune acute osservazioni di George Bernard
Shaw12, Jones riconosce in questa libertà di «dire cose che molti vorrebbero, ma
non osano dire», la funzione, terapeutica e salvifi ca (anche “dal punto di vista me-
dico”), del “confessore”13. È in momenti come questi che la psicoanalisi comincia
a saldarsi con l’analisi antropologica.
Nel fi lone dell’ortodossia freudiana, Jones spiega l’impulso a trasgredire, co-
mune a tutte le fi gure pulcinellesche, come il «ritorno del rimosso», citando altri
interpreti psicoanalisti del simbolismo, come Otto Rank e Hanns Sachs:
Il simbolo costituisce un ultimo mezzo per esprimere idee e sentimenti rimossi,
poiché è particolarmente adatto a dissimulare l’inconscio e ad adeguarlo (grazie
a formazioni di compromesso) a nuovi contenuti della coscienza. […] Il simbolo
[…] costituisce un’espressione percettiva sostitutiva, destinata a surrogare qual-
cosa di nascosto, con cui ha in comune caratteristiche evidenti o a cui è collegata
con legami di associazione interne14.
Proprio nell’analisi della scena di Pulcinella, il motivo riceverà uno sviluppo
decisivo per merito della psicoanalisi lacaniana, che più avanti esamineremo.
Fino a che punto, intanto, vale l’aff ermazione di Jones secondo cui «la perso-
na che si serve di un simbolo non è sempre cosciente di ciò che esso rappresenta
realmente»?15 Jones non esclude che, quando si rappresenta del materiale incon-
scio «ciò non vuol dire che i concetti simboleggiati non siano conosciuti dall’indi-
viduo», perché «molto spesso lo sono»; anche se di questo lo psicoanalista non dà
11 Ivi, p. 120.
12 Shaw, G.B. Plays Unpleasant, London, 1918, p. VIII.
13 Jones, E. op. cit., p. 120.
14 Ivi, p. 121.
15 Ivi, p. 149.
440
Postfazione
spiegazione16. Certamente gli spettatori della scena di Pulcinella erano più o meno
oscuramente consapevoli del carattere fallico del personaggio: soprattutto in area
campana è stato possibile reperire manufatti fallici, alcuni dei quali rappresenta-
no la maschera che esibisce un fallo ingente nella sua nudità, altri sostituiscono
interamente al personaggio il suo fallo, secondo la modalità della sineddoche,
che identifi ca il tutto con la parte17: una convergenza totale della rappresentazio-
ne emica con quella etica, che accomuna il sapere rifl esso dei ricercatori e degli
studiosi con quello, che si presume irrifl esso, dei portatori e fruitori di questa
specifi ca tradizione teatrale.
L’idea che Pulcinella e le fi gure a lui similari possano essere spiegati come
prodotti dell’inconscio («tentativi di espressione dell’inconscio») dischiudeva nuo-
ve possibilità interpretative, dal momento che «la psicoanalisi non solo ha posto
in rilievo che gli impulsi che hanno generato questi prodotti sono una costante
dell’uomo e sono tuttora più attivi che mai, ma ha anche dimostrato che le dif-
ferenze tra i prodotti nuovi e quelli antichi sono più superfi ciali che essenziali»18:
credenze e rappresentazioni non scompaiono mai del tutto, perché le forme pre-
cedenti lasciano tracce nell’inconscio nella forma di “sintomi nevrotici”, che pro-
ducono forme nuove, non meno rigogliose delle precedenti19: un’aff ermazione che
pone in termini nuovi, e perfi no risolutivi, il problema della obsolescenza e della
temuta morte del folklore e delle credenze tradizionali. In altri termini – sem-
bra concludere Jones – le nostre “sopravvivenze inconsce” faranno sì che, qualora
morisse, Pulcinella risusciterebbe sotto nuove forme, ma con analoghi signifi cati
e funzioni. Viene così anticipato in sede psicoanalitica il problema della sopravvi-
venza del comico – nella fattispecie dell’eroe popolare – nel mondo contempora-
neo, cui sono dedicate alcuni interessanti interventi di questo convegno.
Universalità del briccone
Nonostante l’interesse per i riscontri al di là dei confi ni dei tempi e dei luoghi,
la psicoanalisi freudiana non conclude il passaggio dalla psicologia individuale
16 Jones osserva acutamente che la consapevolezza del rapporto tra il simbolo (nel caso specifi co, Pul-
cinella) e la cosa simboleggiata (il fallo), anche quando esiste, «ciò avviene per un periodo di tempo
molto breve e per essere subito dimenticato» (p. 122).
17 I manufatti di cui si parla appartengono alla collezione di Domenico Scafoglio, in Napoli.
18 Jones, E. Saggi di psicoanalisi applicata, vol. II “Folklore, antropologia, religione”, Rimini, Gua-
raldi, 1972 (ed. originale, 1918-1938), p. 18. Il saggio citato, “Folklore”, è del 1928.
19 Jones cita un intervento di A.R. Wright a difesa di questa concezione dinamica del folklore:
«L’antico albero del pensiero e delle prastiche popolari vive non solo nei rami superstiti, sui quali
germogli rinsecchiti si alternano a gemme fresche, ma anche nei getti nuovi e rigogliosi che nascono
direttamente dall’antico tronco» (in “Folklore”, cit., vol. IV, p. 6).
441
Pulcinella nella percezione intellettuale del comico
a quella collettiva. Nel 1946 vide la luce a Baltimore l’opera “Winnebago Hero
Cycles” (Indian University Pubblications in Anthropology and Linguistics, Memor
I), contenente una serie di racconti raccolti dall’etnologo Paul Radin durante il
suo soggiorno tra gli indiani Winnebago. Il volume fu tradotto in tedesco e pub-
blicato a Zurigo con commenti di Kérenyi e Jung per volontà dello stesso Radin
(Der Gōttliche Schelm, Rein-Verlag AG, 1954), e fi nalmente tradotto dal tedesco
in italiano, col titolo Il Briccone divino, arricchito di una “Prefazione all’edizione
italiana” di Kerényi, nel 1965 (Milano, Bompiani). I racconti riguardavano le
prodezze di Wakdjunkaga, un demiurgo astuto e stolido, beff atore e beff ato, pre-
datore e benefattore degli uomini, che Radin così presenta in una sintesi effi cace:
Il Briccone è nello stesso tempo creatore e distruttore; sia che egli dia con libe-
ralità o che rifi uti i suoi doni, è il truff atore sempre truff ato. Eppure non cerca
mai coscientemente di arrivare a qualche cosa. Impulsi che non può dominare
lo forzano ogni momento a comportarsi come fa. Non conosce né il bene né il
male, ma è responsabile sia dell’uno che dell’altro. Non conosce i valori sociali o
morali, è trascinato dai suoi desideri e dalle sue passioni e ciò nonostante tutti i
valori sono generati dalle sue azioni20.
È proprio nelle pagine introduttive di Radin, Kerényi e Jung che per la prima
volta si istituisce una connessione analogica del trickster delle mitologie amerinde
con Pulcinella. Ma non ci si ferma a questo, perché fi gure pulcinellesche, assimi-
labili all’archetipo del trickster, vengono individuate anche in grandi culture non
etnologiche, antiche e moderne: nell’introduzione di Radin si legge che
Il mito del Briccone sussiste sotto una forma nettamente riconoscibile sia presso
le popolazioni più primitive, come tra i popoli più evoluti: lo troviamo tra gli
antichi greci, presso i cinesi, i giapponesi e nel mondo semitico. Molti tratti del
Briccone ritornano nel buff one medioevale. Ai giorni nostri, il Briccone è ricono-
scibile nella fi gura di Pulcinella e nel clown21.
A questa analisi, già infl uenzata dall’archetipologia junghiana, fa eco lo stesso
Jung, con un esplicito riferimento al Pulcinella dei carnevali: «Il Burlone rimane
a lungo una fonte di divertimento, e sopravvive fi n nelle epoche civilizzate, per
esempio nel personaggio carnevalesco di Pulcinella»22. Jung va anche oltre, per
20 Radin, P.; Jung, C.G.; Kerényi, K. Il Briccone divino, Milano, Bompiani, 1965, p. 26.
21 Ivi, p. 25.
22 Jung, C.G. “Contributo allo studio psicologico della fi gura del Briccone” in Radin, P.; Jung, C.G.;
Kerényi, K. op. cit., p. 190.
442
Postfazione
riconoscere i tratti mitologici del trickster, da lui esemplifi cati nel personaggio di
Mercurio: «i tratti bricconeschi di Mercurio hanno alcuni punti in comune con
certe fi gure folkloristiche universalmente note attraverso le fi abe: sono le fi gure
del sempliciotto, dello stupido, del clown, un eroe negativo che ottiene con la sua
stupidità ciò che altri non riescono a ottenere ricorrendo alle loro doti migliori»23;
lo stesso spirito Jung ritrova in manifestazioni festive di tipo carnevalesco, che
nel Medioevo avevano un carattere religioso – come il festum asinarium – e nelle
epoche successive si conservano nei personaggi comici e nelle fi gure itifalliche
delle commedie italiane, nei vari Cucorogna, Pulcinella, Chico Sgarra e così via.
In questo modo si attesta, per exempla, l’esistenza nella storia culturale europea di
intere tradizioni tricksteriche, di un “tricksterismo” diff uso, di cui l’eroe comico
popolare è forse – nell’ottica del tema che è l’oggetto specifi co di questo convegno
– la manifestazione più vistosa.
Dal canto suo Kerényi, riconoscendo anche lui nell’archetipo del trickster le
medesime costanti fondamentali (l’elemento fallico, la fame, l’ibridismo sessuale,
l’astuzia e la stupidità), pensava al Pulcinella turco («in Oriente, il gioco d’ombre
cinesi è l’erede delle scene falliche: suo eroe caratteristico è, in Turkia, Karagōs,
Occhionero»)24. Anche se il mitologo ungherese non preferisce allontanarsi dal
territorio che è più suo – quello della cultura dell’Occidente, a partire dal mondo
classico – lo spettro comparativo si allarga a dismisura, includendo nelle tradi-
zioni tricksteriche non solo fi gure come l’Ermes/Mercurio, Eracle, Dioniso e la
coppia Prometeo-Epimeteo, che del mondo comico e trasgressivo dei Pulcinelli
riproducono solo alcuni elementi, ma anche le farse doriche dell’Italia meridio-
nale e il romanzo picaresco delle letterature europee. Per questa via l’eroe comico
cessava di essere una connotazione etnica di alcune popolazioni per confi gurarsi,
divenuto un fenomeno planetario, come una necessità di tutte le culture. In altri
termini, questa acquisizione «dischiudeva nuove possibilità di meglio comprende-
re la natura e la funzione di Pulcinella attraverso l’analisi comparata di fi gure il cui
collegamento non è più necessariamente garantito da un rapporto di contiguità e
derivazione, ma da similarità di tratti fondamentali». Le tradizioni pulcinellesche
diventavano comparabili con altre tradizioni lontane nel tempo e nello spazio,
perché non si confi guravano più come “vestigia storiche” ma, junghianamente,
come forme permanentemente strutturate dell’inconscio. Lévi-Strauss le avrebbe
connesse con le «forme di pensiero e di comportamento che dipendono dalle con-
dizioni più generali della vita in società»25.
23 Ivi, p. 178.
24 Kerényi, K. “Epilegomeni” in Radin, P.; Jung, C.G.; Kerényi, K. op. cit., p. 221.
25 Scafoglio, D.; De Luna, S. “Kerényi, Jung e il Briccone divino” in Antropologia e letteratura, II, Sa-
lerno, Gentile, 2000, pp. 75-80. Per Lévi-Strauss v. Razza e storia e altri studi di antropologia, Torino,
Einaudi, 1967 (ed. originale 1952), p. 259.
443
Pulcinella nella percezione intellettuale del comico
La coscienza allargata
Nel nuovo quadro interpretativo la ridefi nizione dell’essenza e delle funzioni del
trickster acquista un diverso approfondimento. Per Kerényi – di cui sono noti i
rapporti molto stretti e intensi con Jung – il Briccone costituisce un archetipo,
ossia una delle potenze cariche di energia che, confi nate nell’inconscio, «agiscono
in modo ancor più potente che non quando vengono resi coscienti». A parte le
diff erenze, che accompagnano le sue epifanie nella storia dei popoli, ci troviamo
davanti alla medesima «radice atemporale presente in tutti i paesi, di tutte le crea-
zioni picaresche della letteratura mondiale»26.
La funzione di questa fi gura onnipresente nelle società tradizionali è quella
di integrare l’ordine con il disordine e consentire che «entro limiti defi niti di ciò
che è lecito, esista anche l’illecito»: con la resistenza, molto diff usa negli antichisti,
a esondare dai miti classici a quelli della contemporaneità, il grande mitografo
precisa che la funzione di fi gure come Pulcinella, spirito del disordine, che tende
ad abolire tutti i limiti, comprese le diff erenze sessuali, «non si contestualizza se
non all’interno di strutture sociali arcaiche, in cui il senso dell’ordine domina
tutte le attività» e sono per ciò stesso portate al «riconoscimento, che possiamo
dire religioso, di ciò che sfugge all’ordine in un rappresentante della vita corporea,
che nessun ordine può reprimere del tutto, vittima del dolore che ella stessa si
infl igge, astuta e stupida insieme»27. Nel quadro di una visione sostanzialmente
evoluzionista, il tricksterismo è confi nato all’interno della storia culturale delle
società tradizionali, come un arcaismo permanente, ma in via di sparizione davan-
ti all’avanzare del progresso e dell’incivilimento: «più profondamente si penetra,
sulla via della ricerca storica, nel passato, e più evidente ci appare la connessione di
immagini con queste potenze che, ove agiscano inconsciamente, sono da attribu-
ire […] all’inconscio collettivo. La nostra epoca invece è caratterizzata da un’altra
cosa: dall’agire senza immagini»28.
Tuttavia il mitologo si propone di sciogliere il mistero della fascinazione
esercitata dalle forme di vita “basse” che attraversano le società tradizionali, e
legge il picaresco come un capitolo particolare della cultura intellettuale, quello
in cui essa si amplia annettendosi sfere che le sfuggivano, come quella del co-
mico e assorbendo l’esperienza delle classi inferiori. Come avevamo scritto in
altra sede, Kerényi aspira a far coincidere la nozione di “coscienza allargata” con
la nozione egheliana (accuratamente citata) di totalità, che riscritta nei termini
26 Kerényi, K. Miti e misteri, Torino, Boringhieri, 1979, p. 298.
27 Kerényi, K. “Epilegomeni”, cit., pp. 222-223, 227, 209.
28 Kerényi, K. Miti e misteri, cit., p. 299.
444
Postfazione
della psicoanalisi consisterebbe «nell’unifi cazione della personalità cosciente e di
quella inconscia»29.
Alla fi ne, però – come abbiamo scritto in altra sede –, la totalità risulta guada-
gnata a spese della diversità e a colpi di “annessioni” di realtà culturali basse o
marginali o esterne, come l’ordine che fagocita il disordine, il regolare che assorbe
l’irregolare, unifi cando ciò che nella realtà è diviso e operando a suo vantaggio
una sintesi en haut. Da qui la netta preferenza di Kerényi per quella produzione
(dal mito di Ermes ai romanzi di Petronio e Rabelais, al Reineke Fucs di Goethe),
in cui il picaresco occupa un posto non esclusivo e il lettore in essa “si sentirà
di certo a suo agio”, perché “meno ossessionato dalla massiccia sregolatezza del
briccone indiano”: in questa letteratura picaresca di alto livello il mito trasmette
al romanzo i suoi autentici signifi cati e rivive, nelle molteplici metamorfosi, lo
spirito del dio Ermes: «Un dio rappresenta l’origine di un mondo, e il mondo
signifi ca ordine. Ermes apre le vie. Wakdjunkaga l’eterna scena fl iacica in mezzo
alle strutture in mutamento della civiltà in fase di estinzione»30.
L’ombra individuale e collettiva
Per Jung l’essenza del trickster è uno “psicologema”, ossia una struttura psichica
archetipica che anche per lui «risale a tempi più remoti», e nelle sue manifestazioni
rappresenta «una fedele immagine di una coscienza umana ancora indiff erenziata
sotto tutti i punti di vista, che corrisponde a una psiche che abbia appena superato
lo stadio animale»31. Dunque, anche per Jung il tricksterismo è una forma cultu-
rale primitiva ed elementare, espressione di esigenze di ordine inferiore.
Tuttavia – e questa ci sembra la novità, che in Jung apre la strada a una serie di
nuovi approfondimenti – esso non è un residuo storico in via di estinzione, perché
è incorporato nell’uomo di ogni tempo e fa parte della struttura del suo carattere:
il Briccone, infatti,
nel caso individuale si manifesta con una specie di seconda personalità dal carat-
tere infantile e inferiore, simile ai personaggi che “parlano” nelle sedute spiritiche
o che provocano fenomeni puerili caratteristici del “folletto”. Questa componen-
29 Jung, C.G.; Kerényi, K. Prolegomeni allo studio scientifi co della mitologia, Torino, Boringhieri,
1972 (ed originale 1940-1941), p. 141.
30 Scafoglio, D.; De Luna, S. op. cit., pp. 77-78; la citazione da Kerényi è nell’op. cit., p. 229.
31 C.G. Jung, op. cit., p. 184.
445
Pulcinella nella percezione intellettuale del comico
te del carattere si trova in ognuno di noi, e penso di non aver agito arbitrariamen-
te defi nendola col nome di “ombra”32.
Nonostante la confusione di primitivo, infantile e, aggiungiamo, popolare,
l’analisi di Jung pone problemi nuovi: un residuo di primitivismo sopravvive nelle
tradizioni folkloriche e nelle manifestazioni carnevalesche in disgregazione, come
il loro lato oscuro, come l’“ombra” collettiva, ma – ci sembra di capire – conserva
tutta la sua energia pericolosa all’interno della personalità di ogni singolo uomo,
pur nella disintegrazione del tessuto culturale tradizionale: essa «è per così dire
la discendente di una immagine numinosa collettiva», e se questa si dissolve per
l’infl uenza della civiltà, permane nell’inconscio individuale oltre che in quello col-
lettivo il suo “nucleo principale” con la sua matrice psichica profonda, che assicura
la sopravvivenza del mito:
Se il mito non fosse altro che un residuo storico, bisognerebbe chiedersi perché
il Briccone non è già sparito da tempo nella grande fossa del tempo. Invece egli
continua a far sentire la sua presenza e la sua infl uenza fi n nelle fasi di più alta
civiltà anche là dove, per via della sua stupidità e della sua grottesca scurrilità, non
sostiene il ruolo di un “delight maker”. È come il letto di un fi ume, un vecchio
solco identifi cabile in molte civiltà, nel quale continua a scorrere l’acqua33.
Anche l’archetipologia junghiana rimane fortemente tributaria di una pro-
spettiva evoluzionistica – cui, tra l’altro, è demandato il compito di legittimare
gerarchie culturali e scale di valori –, nella quale la storia dell’uomo progredisce
verso forme di vita e di coscienza sempre più ampie e complesse, che in ultima
analisi coincidono con le conquiste della cultura occidentale.
Perché, allora, il permanere nel tempo degli archetipi e di miti come quello del
trickster, espressione di forme di vita e di coscienza primitive? Questa la risposta: il
mito «è tenuto vivo e sorretto dalla coscienza», perché «questo è il mezzo migliore
per mantenere cosciente la fi gura dell’ombra e di esporla alla critica cosciente»; in
altri termini, «il mito mantiene visibile, per l’individuo più evoluto, lo stadio pre-
cedente di inferiorità intellettuale e morale , affi nché egli non dimentichi com’era
il passato»34. Sotto questo aspetto il mito possiede «un’effi cacia terapeutica» e ri-
sponde al bisogno fondamentale di non dimenticare lo stadio inferiore per evitare
la possibilità (e il pericolo) che il nemico si trovi alle proprie spalle.
Abbiamo scritto, in conclusione, che nel pensiero di Jung
32 Ivi, p. 187.
33 Ivi, p. 186.
34 Ivi, pp. 191, 194.
446
Postfazione
il Briccone, simbolo collettivo dell’ombra, torna a riprodursi incessantemente,
perché l’ombra individuale, come “somma di tutte le qualità inferiori del carattere”,
è una componente costante della personalità, che la coscienza mantiene sempre
desta per non ricadere nello stato di barbarie in cui essa potrebbe sprofondarla.
Ma la risposta junghiana non spiega la fascinazione che lo spirito del Burlone
trasgressivo esercita sull’uomo. Anche se Jung intuisce che il Briccone è portatore
di una diversità per un verso radicalmente estranea alla cultura e alla civiltà, per
un altro costitutivamente appartenente all’uomo, “perché fa segretamente parte
della psiche dello spettatore” e “appare un rifl esso della (sua) psiche, anche se non
è riconosciuta come tale”35, questo non spiega del tutto perché l’uomo dovrebbe
essere rimasto aff ascinato dalla parte peggiore di sé. Come abbiamo concluso
altrove, lo psicologo del profondo apre la strada alla tematica del doppio, ma
il doppio junghiano, serrato nel cerchio ideologico della civiltà, non è la parte
mancante di sé, la perdita non integrabile testimoniata dalla mutilazione, ma
un oscuro doppio, portatore di barbarie, che serve riesumare al solo fi ne di una
pedagogica deterrenza36.
Il salvatore
Il Briccone degli amerindi era descritto come uno stolido e perverso benefattore, e
Jung partiva dalle ambivalenze del personaggio per elaborare l’immagine del trick-
ster come Salvatore: immagine che si raff orza nel tempo, come evoluzione di uno
stato originario ancora “primitivo”. Nel pensiero di Jung questo avviene perché
l’“ombra” viene progressivamente riconosciuta e integrata, provocando una “modi-
fi cazione della personalità”. Non sappiamo se Pulcinella nasca nel 1609 e, per tutto
il secolo XVII, le sue connotazioni negative prevalgano nettamente su quelle posi-
tive, ma comincino a perdere terreno con la riforma teatrale del secolo successivo,
che comporta la decadenza della Commedia dell’Arte e del suo mondo gaudente e
trasgressivo, fi nché la riforma napoletana operata nel secolo successivo soprattutto
da Altavilla e Petito trasforma Pulcinella in una maschera costumata, che opera per
il bene dei deboli anche a costo della sua soff erenza e del suo sacrifi cio37.
La complessità del tema del Salvatore (con l’implicito – ci sembra – riferi-
mento a Cristo, presente peraltro nella narrativa popolare)38 subisce un ulterio-
re approfondimento critico negli anni Settanta del Novecento, in una temperie
35 Ivi., p. 198 (corsivo nostro).
36 Scafoglio, D.; De Luna, S. op. cit., pp. 79-80.
37 Jung, C.G. op. cit., pp. 179, 188, 198, 200-201.
38 V. Scafoglio, D.; Lombardi Satriani, L. Pulcinella. Il mito e la storia, cit., pp. 304-20.
447
Pulcinella nella percezione intellettuale del comico
culturale in cui la santifi cazione della trasgressione era nella pratica sociale prima
che nei discorsi e in cui la violazione dei tabù era un pregio intellettuale e quasi
un obbligo morale. Sul trickster, irrispettoso violatore delle regole che fondano
l’ordine sociale e cosmico, sembra proiettarsi il bisogno collettivo di liberazione,
che è proprio di quegli anni. Nell’analisi dell’etnologa Laura Makarius, che indaga
la sua presenza in numerose culture “primitive”, il trickster è un eroe culturale,
un “peccatore collettivo” che ha avuto dalla collettività la delega a trasgredire per
il bene di tutti perché la violazione degli interdetti, soprattutto del tabù del san-
gue, gli conferisce un potere straordinario, con caratteristiche sacre, che egli può
utilizzare nell’interesse e a vantaggio della sua comunità. In quanto “peccatore
collettivo” e benefattore della comunità, l’eroe trasgressore fi nisce con l’essere un
capro espiatorio: egli «prend sur lui la culpabilité du groupe, brisant le tabou
dans l’intérêt des hommes e teste punì pour avoir lancé des défi s et commis des
transgressions qui réspondaient au désir de la collectivité»39. Perciò egli è punito
con la deformità corporea, il ridicolo e le botte. È l’aspetto più sconcertante della
fi gura, di cui in un saggio presente in questo volume cerca di cogliere la dialettica
interna alla sue clamorose contraddizioni.
Pulcinella e Cristo
L’analisi della maschera di Pulcinella, iniziata dalla psicoanalisi freudiana per me-
rito di Jones agli albori del Novecento, a Freud ritorna dopo la brillante parentesi
junghiana degli anni Cinquanta, per opera di Lacan40.
Il Pulcinella di Jones serve a Lacan come punto di partenza per concludere
la sua argomentazione relativa alla teoria del simbolismo dello stesso Jones41. Si
riparte dal fonema, e si conferma la “dominanza del signifi cante”, che si manife-
sta, più che nella voce in falsetto e nelle anomalie morfologiche del personaggio,
nelle omofonie, che «condensandosi in sovrimpressioni, al modo del tratto di
spirito e del lapsus, denunciano nel modo più sicuro che ciò che simbolizza è
il fallo»:
39 Makarius, L. “Le mythe du ‘trickster’” in Revue de l’Histoire des Religions, t. 175, 1969, 1, pp. 17-
46; Le sacré et la violation des interdits, Paris, Payot, 1974; “Th e Magic of Trasgression” in Anthropos,
63, 1974, pp. 3-4.
40 Lacan, J. Scritti, Torino, Einaudi, 1974 (ed originale 1966), vol. 2, pp. 212-213.
41 Jones, E. Papers on psychoanalysis, Boston, 1967 (originale 1916); Saggi di psicoanalisi applicata,
vol. I, Bologna, Guaraldi, 1971 (ed. originale 1923). Il saggio “La teoria del simbolismo”, risalente al
1916, è tradotto nel volume La psicologia di Freud, Roma, Newton Compton, 1973, che presenta in
versione italiana alcuni importanti studi di Jones. Si cita da quest’ultimo testo.
448
Postfazione
Polecenella napoletano, tacchinello, pulcinella, pollastrello, pullus, parola tenera
trasmessa dalla pederastia romana alle modiche eff usioni delle piccinine delle no-
stre primavere, eccolo passato nel punch dell’inglese, per, divenuto punchinello,
ritrovare la daga, il tassello, il tozzo strumento che dissimula, e che gli apre la
strada per discendere, piccolo uomo, nella tomba del tiretto, dove gli inseguitori,
seguaci del pudore delle colombine, fi ngeranno, fi ngeranno di non veder nulla
prima che ne risalga, risuscitato nella sua valentia.
L’analisi procede ancora per aggregazioni analogiche di immagini e concetti,
in una sintesi di prosa barocca, in cui si è visto adombrare i procedimenti stessi
di funzionamento dell’inconscio42, in una singolare mimesi, in cui il soggetto si
contamina con l’oggetto:
Fallo alato, Parapilla, fantasma inconscio delle impossibilità del desiderio ma-
schile, tesoro in cui si esaurisce l’impotenza infi nita della donna, questo mem-
bro perduto per sempre da tutti coloro, Osiride, Adone, Orfeo, di cui l’ambigua
tenerezza della Dea Madre deve radunare il corpo frammentato, ci indica, col
ritrovarsi sotto ogni illustrazione di questa lunga ricerca sul simbolismo, non solo
l’eminente funzione che vi esercita, ma anche come lo illumini.
In Pulcinella, allora, Lacan trova la conferma del signifi cato e della funzione
da lui più volte illustrati del simbolismo fallico: il fallo
è il signifi cato di quella perdita che il soggetto subisce per la frammentazione
del signifi cante, e da nessuna parte la funzione di contropartita cui un oggetto
è portato dalla subordinazione del desiderio alla dialettica simbolica, appare in
modo più decisivo.
Manca, nell’analisi, qualsiasi riferimento alla storia e alla specifi cità culturale
italiana. Un lacuna cui tenta di rimediare, partendo ancora dal Jones rivisitato da
Lacan, Alessandro Fontana, che trasforma la vicenda di Pulcinella in un capitolo
della storia del desiderio occidentale43: posto che il simbolismo del Pulcinella-fallo
fa emergere «la diff erenza tra l’immaginario e il reale, diff erenza che il discorso
dell’ordine non riuscirà mai a ridurre e abolire interamente», l’alternativa posta
dalla maschera nell’ambito del desiderio è:
42 Bowie, M. Freud, Proust e Lacan. Teoria come fi nzione, Bari, Dedalo, 1992 (ed originale 1987).
43 Fontana, A. “La scena” in AA.VV., Storia d’Italia, vol. I, “I caratteri originali”, Torino, Einaudi,
1972, pp. 794-868.
449
Pulcinella nella percezione intellettuale del comico
o essere un fallo, cioè il pene simbolico, cioè il desiderio dell’altro, o avere un
pene reale, cioè assumere il desiderio proprio: l’ambiguità profonda di pulcinel-
la risiede in questa alternativa, di cui è manifestazione: alternativa attraverso la
quale il popolo italiano ha vissuto, nelle forme della privazione angosciante o
della castrazione fondatrice – tipiche di culture maternalistico-autoritarie – il suo
rapporto col desiderio.
Pulcinella è dunque legato alla privazione del sesso e al timore della castrazio-
ne, e la sua vita sulla scena è «fi gura del rimosso che ritorna»44.
Se con lo scritto di Lacan ritorna nel discorso su Pulcinella la tematica del
desiderio, Fontana salda questa tematica con la teoria del discorso di Foucault e
fa della scena, esemplifi cata col teatro di Pulcinella, un elemento decisivo della
cultura italiana, che per secoli ha occultato dentro le ideologie religiose e politiche
i «fantasmi della ragione», la verità della morte, del desiderio e della violenza: in
Italia «il sacrifi cio liturgico del Cristo ha sublimato l’angoscia storica della morte;
tutto un insieme di festività e di attività spettacolari ha distolto lo sguardo dalla
violenza reale; e il proliferare delle maschere, unito alle pratiche della confessione
dei peccati, ha dato al desiderio uno sbocco rassicurante»45.
La scena ha però consentito che potesse emergere «tutto quello che non è af-
fi orato alla superfi cie dei discorsi, tutto quello che è stato allontanato, esorcizzato,
escluso, nella storia italiana, tutto quello che non ha trovato posto negli ordini
civili e nelle classifi cazioni uffi ciali del sapere, tutto quello che il discorso della
verità ha rifi utato senza che un discorso vero fosse pronto ad accoglierlo, con i
rischi e le incertezze per chi se ne fosse fatto portavoce»46. Fontana teorizza una
tripartizione della scena sulla base di meccanismi individuati dalla psicoanalisi:
la negazione freudiana, il diniego (defi nito da Laplanche e Pontalis), e la reiezione
(corrispondente, insieme, alla verwerfung di Freud e alla forclusion di Lacan): la
scena immaginaria che «dice e non dice, che mostra e nasconde a un tempo, dove
i contenuti appaiono rimaneggiati, condensati, spostati come i contenuti del so-
gno», scena che «cerca di nascondere e travestire la verità dei contenuti esclusi» e
grazie alla quale «il discorso del potere può dire che “questo non esiste”»; la scena
reale in cui «pur negato, “questo” non cessa di ricomparire come mostro, fanta-
sma, delirio, allucinazione, durante i sonni della ragione, nell’inquietante silenzio
di un’incomprensibile e immediata presenza»; la scena simbolica in cui «si elabo-
rano, enigmaticamente, i signifi cati fondamentali di una cultura» e che si articola
«non tanto su concetti e parole, ma su fi gure emblematiche, su persone mitiche,
44 Ivi, p. 581.
45 Ivi, pp. 796-797.
46 Ivi, p. 797.
450
Postfazione
per indicare le lacune della scena immaginaria e mostrare oscuramente lo spazio
sinistro della scena reale; nella scena simbolica si formulano infatti le regole su cui
si costruisce le parole dell’uno e il silenzio dell’altra: o questo o quello»47.
La scena di Pulcinella è il dominio del simbolico. Mentre la liturgia del sacri-
fi cio del Salvatore ha storicamente liberato dall’angoscia della morte, la maschera
di Pulcinella, prendendo a carico ciò che il discorso dell’ordine nega ed esclude,
«funge in ultima istanza da suo positivo fondamento»: perché il “fondamento
ultimo” del discorso dell’ordine è stato il «non poter dire la verità della morte, del
desiderio, della violenza; la verità del diverso». In questo modo «Cristo e Pulcinella
appaiono come le fi gure costitutive della scena simbolica italiana, allo stesso modo
in cui Dioniso e Apollo, secondo Nietzsche, lo erano per la scena greca»48.
Il biologismo di cui si sostanziava la psicoanalisi distraeva gli psicoanalisti
dall’interesse per le diversità etniche e culturali, considerate fenomeni di superfi –
cie. In questo modo però si sacrifi cavano, tra l’altro, le specifi cità locali e le identità
nazionali. Fontana cerca di rimediare a questa lacuna utilizzando Pulcinella come
“sintomo” per spiegare il carattere nazionale italiano partendo dall’inconscio. I
risultati non sono del tutto nuovi, perché riprendono l’idea del “fi glio ribelle”, che
si trovava, sia pure spogliata di ogni connotazione storica, già in Jones. Ma le arti-
colazioni del discorso sono interessanti, e anche se l’analisi della scena si addensa
sulla fi gura di Pulcinella senza il soccorso di una documentazione adeguata il vero
suo referente, l’autentico punto di partenza, è la rappresentazione del carattere na-
zionale italiano, che sembra associare all’esperienza diretta dello scienziato il colpo
d’occhio dell’artista-scrittore. Si verifi ca, insomma, una situazione non del tutto
estranea al mondo della ricerca, anche quella più qualifi cata: che cioè, più che co-
noscere l’anima segreta della società italiana attraverso Pulcinella, l’analista cono-
sce Pulcinella attraverso quanto ha conosciuto in profondità della società italiana.
Da analista Fontana, come Lacan, corre “dritto alla meta”, ignorando le stra-
tifi cazioni culturali del mondo della maschera, per approdare immediatamente
al sintomo, ossia all’inconscio. Rimane inappagato il nostro desiderio di veder
percorrere il cammino inverso, quello che porta dal sintomo e dall’inconscio alla
ferme culturali che fanno della maschera un unicum irripetibile.
47 Ibidem. I concetti di immaginario e simbolico, dal cui connettersi insieme per Fontana risulta la
realtà, e quello di reale (come altro rispetto al simbolico e all’immaginario) sono usati da Fontana
nell’accezione di Lacan, che risulta così l’eff ettivo teorico di questa tripartizione della scena, e – a
parte alcune anticipazioni freudiane – l’unico (anche se Fontana dichiara di ritrovarla «esplicitamente
formulata» nel saggio di Freud sul perturbante, mentre ci sembra che il presupposto fondamentale
di tutte queste analisi e teorizzazioni sia soprattutto il Freud dei saggi sull’interpretazione dei sogni,
dei motti di spirito e dei lapsus).
48 Ivi, p. 850, n. 1.
451
Pulcinella nella percezione intellettuale del comico
Rimane comunque la profondità dell’analisi, certifi cata dalla qualità della
scrittura di Fontana. In un certo senso il pensiero di un autore non si aff erra inte-
ramente, se non si parte anche dalla sua esperienza stilistica: non solo Lacan, ma
anche Fontana sembra contaminarsi col suo oggetto di studio: Furio Jesi rileva, a
proposito di Kerényi, che quando ci si ha a che fare con ideologemi latenti, in cui
si intravedono i pensieri segreti di tutti gli uomini, sul punto di diventare epifanie
numinose, «il nostro aff errarci in esse è così assoluto che rischiamo continuamente
di sperimentarlo come un buio “essere aff errati”»49. Lo stile di Fontana interprete
di Pulcinella fa infatti pensare alla corrente fenomenologica degli anni Cinquanta
che, ispirandosi a Dilthey, aspirava a conoscere la vita con la vita, aggiungendo alla
rifl essione critica l’esperienza del vissuto e la partecipazione intensa e commossa,
l’Erlebnis e la Gemüt.
Forse alla luce di queste considerazioni andrebbe riconsiderato il problema
dell’adeguatezza del sintomo prescelto, Pulcinella, della sua presenza e importanza
nella storia nazionale. Claudio Meldolesi ha obiettato che occorreva soprattutto
dimostrare che «quando si pretende di ripassare un’intera storia nazionale per la
cruna di un sintomo inadeguato, si fi nisce per tornare all’evoluzionismo, da cui
pure ci si voleva allontanare». Il critico aggiunge che Pulcinella non fu «l’unica ma-
schera incarnante il nesso servo-padrone; è ormai comunemente noto che, per la
mobilità della loro natura mercantile e per la varietà del loro uso, tutte le maschere
incarnarono di tutto»50. Forse però bastava pensare che, come si sostiene in uno
dei saggi presenti negli Atti di questo convegno, «il mondo è pieno di Pulcinelli»,
si chiamino essi Zanni o Pancinelli o Punch o Polichinelle o Palavan Kačial o
Caraguez: se tutto il mondo, in certo modo, è paese, ogni eroe comico popolare è,
entro certi limiti, Pulcinella.
Simona Piera De Luna, Università di Salerno.
49 Jesi, F. “Introduzione” in K. Kerényi, Miti e misteri, cit., p. 13.
50 Meldolesi, C. “Ai confi ni del teatro e della sociologia” in Teatro e storia, I, n. 1, 1986, p. 850.